Ve lo confesso. Ero sul punto di cominciare questa mia recensione con l’estratto di un racconto di Edgar Allan Poe, “Il gatto nero”, il più noto nonché il più citato nel corso del pilot di cui parleremo a breve. Ma poi ho realizzato che l’orrore asfissiante e psicologico dell’opera di Poe (che poi non è che si limitava a scrivere solo questo) c’entra davvero poco con il thriller sanguinolento, a tratti ingenuo ma comunque appassionante che si è rivelato essere The Following, che il nome di Poe è più una nota di colore che una vera dichiarazione di intenti. Ma va bene così, basta essere coscienti di cosa si vuole essere e dove si vuole arrivare, e questo vale soprattutto per una serie tv.
Pilot
Scritto da Kevin Williamson. Diretto da Marcos Siega.
Il serial killer Joe Carroll è di nuovo in libertà. Il professore di lettere responsabile della morte di 14 studentesse è riuscito a evadere dal carcere in cui era detenuto a pochi giorni dalla sua esecuzione. Ryan Hardy, l’ex detective dell’FBI che lo ha assicurato alla giustizia quasi dieci anni prima, viene richiamato in servizio per aiutare il Bureau a fermare il killer prima che commetta nuovi omicidi. Hardy tuttavia ha lasciato l’FBI proprio a seguito dell’arresto di Carroll, della pubblicazione del libro che ne ripercorre gli eventi e del tracollo fisico e mentale che ne è conseguito. Come se non bastasse, Hardy ha intessuto un rapporto alquanto intimo con l’ex moglie di Carroll, Claire Matthews, da cui il killer ha avuto un figlio proprio nel periodo degli omicidi.
Il principale obiettivo di Carroll al momento sembra essere l’unica sopravvissuta alla sua carneficina, Sarah Fuller: l’uomo non vuole lasciare la sua opera incompiuta come invece successo al suo “maestro” Edgar Allan Poe con l’ultimo “The Light House”. Ma il progetto di Carroll si rivelerà presto molto più complesso di come appare: Carroll ha trascorso gli anni della sua detenzione ad adescare e addestrare decine e decine di “discepoli”, killer potenziali a cui bastava una leggera spinta per diventarlo a tutti gli effetti. Riuscirà il nostro eroe ad acciuffare Carroll prima che questi elimini Sarah Fuller? E saprà impedire ai discepoli dell’ “oscuro maestro” di diffondere la morte e l’orrore come è stato loro insegnato?
Nel commento che segue ho cercato di essere il più possibile spoiler free, per permettere anche ai lettori che non hanno ancora potuto visionare il pilot di godere appieno dei suoi colpi di scena, anche perché altrimenti perderebbero il 90% del divertimento. Non posso garantire lo stesso per quanto riguarda la sezione commenti…
Il pilot di The Following è esattamente quello che ci si può aspettare: un buon thriller scritto da uno sceneggiatore esperto (Kevin Williamson, il papà di Scream, Dawson’s Creek e The Vampire Diaries), senza alcuna pretesa di innovare o di cambiare le regole del genere. Il ritmo si mantiene alto sin dalla sequenza d’apertura, che cala subito lo spettatore nel bel mezzo dell’azione per poi seminare la backstory nel corso dell’intera puntata. Ma partiamo dai difetti emersi a una prima visione, soprattutto per quanto riguarda l’ingenuità e la piattezza di molte scelte.
Incominciamo dai personaggi. I protagonisti principali (e secondari) di questo pilot sono per la maggior parte copia-incollati dagli stereotipi del genere, figurine di un album riempito con mano automatica. C’è il detective tormentato, troppo coinvolto emotivamente nell’indagine, un lupo solitario che non segue le regole, stavolta interpretato da un Kevin Bacon abbastanza sottotono. Poi abbiamo la giovane e inesperta recluta (uno dei gemelli Ashmore) con tanto di man crush verso il protagonista, poi la partner severa e tutta d’un pezzo, l’agente afroamericano che non ha altra caratterizzazione se non l’essere afroamericano e infine Natalie Zea che fa sempre lo stesso personaggio interpretato da Natalie Zea.
La scrittura poi ricorre alle solite svolte e alle solite facilonerie del thriller che ormai sappiamo a memoria: le forze dell’ordine (polizia o FBI, non importa) sono più sceme del normale, il protagonista per lavorare bene deve lavorare da solo, eccetera eccetera.
Ad aggravare la situazione la vecchissima concezione di internet come strumento magico e terribile attraverso cui adescare la gente nei FORUM (??) e nelle CHAT (???) mostrando una conoscenza del mezzo degna di un servizio del TG1 o di Pomeriggio 5 (ma sappiamo che l’unica serie che sa davvero cosa sia la rete è The Good Wife).
Invece non condivido affatto le critiche sollevate in patria riguardo l’eccessiva e gratuita violenza, non quando CSI e Criminal Minds ci hanno abituati da anni allo stesso livello di sangue e fluidi corporei vari (se non maggiore).
Eppure il pilot funziona, soprattutto quanto a suggestioni e atmosfera. Ed è in special modo il finale a riscattare molti dei difetti finora evidenziati, per un paio di ragioni: la prima riguarda la risoluzione del caso principale, che si conclude in maniera niente affatto scontata e quanto mai potente. Risulta poi davvero incisivo e risonante il confronto tra Hardy e Carroll (un James Purefoy affascinante e inquietante, lui sì perfettamente in parte) durante il quale l’elemento “letterario” e quasi metatestuale delle azioni dello spietato killer si fa dichiarato (il rapporto tra l’orrore immaginifico e quello reale, dove la crudeltà del narratore nei confronti del mondo narrato si attualizza nella crudeltà del killer seriale nei confronti del mondo reale, o ancora il ribaltamento continuo tra oggetto narrato e soggetto narrante che avviene tra Carroll e Hardy), dalla natura più evocativa che autoreferenziale (alla Scream, per fare un esempio vicino all’autore) e dalle infinite possibilità di sviluppo.
Sono abbastanza curioso di capire che forma prenderà la serie nel suo formato settimanale, visto che, rubando le parole a Carroll, questo pilot ne è stato solo il preludio. Considerando che Williamson è uno sceneggiatore che sa scrivere e gestire molto bene la suspense nel racconto televisivo soprattutto nel lungo periodo (e la seconda stagione di The Vampire Diaries lo dimostra), The Following ha e carte in regola per diventare un prodotto divertente e appassionante, che lascia profondità e complessità da una parte per concentrarsi sull’intrattenimento più semplice ma non per questo più facile. L’invito allora è quello di allacciarsi le cinture e godersi la corsa. Io ci sto. E voi?
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