Forse comincio a capire. Il modus operandi degli sceneggiatori di Dexter si rivela nel momento in cui i personaggi nuovi buttati dentro in quantità industriali come fossero mangime per polli (gli spettatori) acquistano una precisa funzione. Ma non c’è da esultare, giacché questa funzione ha il compito primario di riaprire – con facili scorciatoie (e si sa che in narrativa le scorciatoie sono sinonimo di negligenza, alias la morte) – le strade chiuse di fronte a cui si trovano i nostri nell’organizzazione del plot stagionale.
Gli autori son lì che scrivono tutta la stagione e arrivano al punto in cui il big bad (si fa per dire, nessuno mi leva dalla testa che pure lui non è che un’altra scorciatoia) è in trappola e sembra bello che arrestato. Ma, fermi tutti!, manca ancora un episodio! E ora che si fa? Cosa diavolo ci mettiamo, in termini di tensione e scontro con Dexter, nel prossimo e ultimo? (che poi ci sarebbe tutta la fuga del nostro, ma lasciamo perdere perché gli autori di cui sopra sono talmente consci della loro dabbenaggine che ormai puntano sul numero anziché sulla qualità – mettiamo quanti più personaggi e ostacoli possibili. Uno dovrà funzionare no? dite che non è credibile? Vabbè ma tanto non se ne accorgono…). E allora torniamo indietro e inseriamo all’ottavo episodio lo U.S. Marshall Cooper, in modo che quando Saxon sembra fuori dai giochi, il nostro Marshall lo rimette in pista nella scena più ridicola del mondo cui segue la morte più scema del mondo.
Ecco cos’è diventato Dexter, una girandola di personaggi senza concretezza narrativa… momento, personaggi? Funzioni narrative, pardon, vettori la cui unica ragione è portare la trama (la trama, ahahah) dal punto A al punto B (che poi sarebbe più che altro un punto X).
Zach Hamilton, altro esempio perfetto. Lo so è bello che schiattato da un bel po’ ma sarò breve. Qualcuno mi dice che senso abbia avuto? A un certo punto nel tornare in avanti, dopo essere andati all’indietro, gli autori avranno detto ehi mettiamo che diventa l’allievo di Dexter, idea che non mi attirava più di tanto ma che certo poteva dare qualche frutto, se non fosse che gli autori si sono stufati dell’idea stessa neanche due episodi dopo. E allora volete proprio rompere le balle e basta! A questi qua gli basta accumulare minutaggio, sarebbero dei grandi allievi di René Ferretti.
Eppure, non è neanche questo il più grande peccato della serie, e di questa stagione, a ben vedere. Il fatto è che qui non c’è il benché minimo pathos. Dexter saluta gente, ci sono addii continui a poliziotti e parenti (Debra) che dovrebbero farci liquefare gli occhi e invece l’unica reazione dalla nostra faccia è lo spalancarsi delle mandibole. Sfido chiunque a dire che s’è sentito toccato alle varie scene di addio (anticipato). I personaggi hanno gli occhi lucidi, ma sparano tante di quelle frasi fatte o fantasmi che spariscono con frasi a effetto ormai ridondanti perché essi stessi ridondanti, e insomma alla fine noi ci addormentiamo. A un episodio dal finale ci annoiamo??? Vi rendete conto? Poi, anche dire che si commuovano loro è una frase grossa. Capitanati dal Michael C. Hall (non credevo che avrei mai scritto questa frase) più svogliato e inespressivo di sempre, cui ormai riesce soltanto la faccina di smarrimento, da cane colpevole di averla mollata sul tappeto, riciclata talmente tanto, peraltro, che ormai non convince neanche più. È tappezzeria. Per non parlare del trattamento riservato a Batista, che apre la bocca solo per convenevoli e frasi inutili: quando all’uscita dalla chiesa se ne esce con un “È stato un bel funerale”, ero in imbarazzo per lui, non sapevo se scoppiare a ridere o entrare nella tv e dargli una pacca sulla spalla, coraggio, è quasi finita.
Ma se per Batista potremmo anche chiudere un occhio (in realtà no, ma facciamo un po’ i semplici, non tutti possono essere Mad Men e Breaking Bad), quello che grida vendetta è il trattamento riservato al protagonista. Riprendo un attimo una domanda che m’ero posto nel recensire la premiere: chi diavolo è questo Dexter Morgan che ci propinano da qualche anno? L’operazione di ripulitura che gli stanno riservando ha del disgustoso. E il peggio è pretendere pure di convincerci che sia sempre stato così, giocando in malafede e scommettendo sulla nostra scarsa capacità di memoria. E invece noi ce lo ricordiamo bene chi è Dexter e sappiamo quindi che quello che si sta sbracciando a fare non è in alcun modo nel suo dna. Hai voglia a dire che “it’s what I do”, non ci freghi, caro. Zitti zitti siamo arrivati a ribaltare l’assunto di Dexter: non uno che uccide i criminali per soddisfare un bisogno compulsivo e sessuale e che scegli i criminali perché sono quelli che la gente non va a cercare se spariscono e perché – soprattutto – ormai rispondono a quel codice fisso che è un altro modo di definire l’atteggiamento ossessivo compulsivo dei serial killer, no, carissimi, lui li uccide per ripulire le strade, perché non può sopportare che le strade siano piene di criminali (e lui allora?). Sono questioni che si poneva all’altezza della seconda stagione, quando apparve per un attimo l’idea del Dark Defender prima che lui stesso capisse che non era altro che prendersi in giro.
Tutto questo blaterare fasullo su Dexter mi fa arrabbiare perché non ha alcun rispetto della continuità e dunque della coerenza. Ma scusate, e la quarta stagione? E Trinity? Forse l’ultima che ha detto qualcosa di scomodo sul nostro, scomodi e vero. Arthur Mitchell aveva mostrato bene, per la prima volta, l’irriducibilità di quel mostro che anche Dexter ha dentro, la consunzione cui esso avrebbe portato con lo scorrere del tempo, per non parlare dei danni collaterali: Rita, ma anche l’impossibilità di vivere una vita normale e di amare qualcuno; vi ricordate Lumen? Che si fa aiutare e alla fine comprende (e Dexter con lei) che la sua ansia di vendetta non ha nulla a che vedere con quel buco nero che vive dentro il nostro ematologo.
Tutto spazzato via, signori miei. Oggi al posto di quel pezzo scheggiato d’argilla c’è una levigata pietra d’onice che sogna l’amore e la ragazza e l’Argentina e la vacanza. Uno che parla pure di Cody e Astor, cui lascia l’auto, tanto per fare finta che ci sia una continuity e ci si ricordi di personaggi spariti dalla scena. E in base a questa continuity, come spiegherà Dexter ai nonni di Harrison che se lo porta in un altro continente con una ricercata?
Un pezzo alla volta lo stanno rivoltando come un calzino. L’anno scorso “scopriva” con orrore di essere una sola cosa col Dark Passenger, alias sviluppando una sorta di coscienza che nulla c’entra col personaggio. Quest’anno prima dice che la sua ansia d’uccidere s’è… affievolita (puntini sospensivi perché evidentemente a quel punto pure gli autori avranno detto no dai non possiamo dire che se n’è andata, ci rifiutiamo pure noi di esagerare così tanto), e intanto poi dopo lo mettono davanti a Saxon e invece di fargli fare what he really does, lo tradiscono ancora una volta. Ma da quant’è che non uccide nessuno? Sia mai che gli spettatori debbano ricordarsi che Dexter è un fottuto assassino?
E tutto questo per Hannah. Dexter dice (attenzione, dice, non dimostra) che il Dark Passenger se n’è andato perché ama Hannah. Ah sì? E che c’entrano le due cose? Troppo facile. Ma poi ci spiegate cos’abbia di speciale Hannah McKay per Dexter? – e sottolineo, Hannah McKay, come personaggio, facciamo un attimo finta che non sia il corpo di Yvonne Strahovski a delinearla. Anche perché con tutto l’amore che possiamo avere per la donna, il suo personaggio è del tutto inutile in questa stagione. E, peggio ancora, fiacca anche quello del protagonista, quando almeno l’anno scorso riusciva a sottolineare meglio, con un tocco di macabra ironia, una comunanza blasfema che congiungeva due mostri in un idillio d’amore a botte di colazioni da famiglia borghese. Infine, in barba a qualsiasi realismo, continua ad andarsene in giro come niente fosse, mettendo pure nei guai Debra che ormai mente spudoratamente pur di salvarla, o meglio per non far torto al fratello. Deve amarlo veramente parecchio.
Se non altro le ultime puntate se hanno segnato il quasi totale annacquamento di Hannah – ormai è ridotta a “quella che cucina” – hanno visto un graduale riassestamento del personaggio di Debra, presa tra due e più fuochi, alla disperata ricerca di normalità ed equilibrio (ho letto così anche il riavvicinamento troppo brusco a Quinn) e che, però, a differenza del fratello ormai rincoglionito, ha chiaro davanti il quadro di un futuro che non potrà mai essere troppo roseo. Non dopo tutto quello che ha passato e fatto.
Aspettiamo dunque questo “gran” (???) finale, senza ormai alcun interesse né speranza. Gli episodi si susseguono ormai a compartimenti stagni. Ogni volta girano la chiavetta e gli danno un altro po’ di tempo per funzionare. Ogni settimana sembra di seguire una serie diversa. Non solo non c’è continuità nell’intreccio, ma non c’è – e senza dubbio la due cose si influenzano a vicenda – coerenza nei personaggi, per cui, e lo dico senza rancore ma con rassegnata tristezza, non me ne frega più assolutamente nulla del destino di Dexter. Arriverà in Argentina? Con Hannah? No? Morirà? Sopravvivrà? In prigione, in attesa dell’iniezione? Chi Se Ne Frega. Ecco a cosa ha portato anni e anni di andamento random: noia mortale e totale dissociazione dai personaggi e dall’intreccio. Potrebbe finire pure a quest’episodio, Dexter, tanto ormai è insalvabile, Dexter è già morto come personaggio. Ma ovviamente guarderemo il prossimo, giusto per completezza e sospirando di fronte a cotanto scempio apportato a una delle figure – potenzialmente – più originali e affascinanti della moderna televisione americana.
Note
- Dexter se ne frega della continuity, eppure Monkey In A Box segna un miracolo da questo punto di vista, specie per questa serie: il nostro deve vendere il suo appartemento e per farlo non ingaggia un’agente immobiliare qualsiasi, ma Sylvia Prado, moglie di Miguel, prima amico poi nemico del nostro.
- Ci provano pure a creare tensione, ad autocitarsi che come sempre in questa serie è sintomo di pigrizia e di boomerang infamante per il divario tra il passato e il presente: mi riferisco alla scena in cui Dexter si ritrova Saxon nella sala degli interrogatori. Ma ce ne passa per arrivare a “Hello, Dexter Morgan“, ci passa uno shuttle.
- A proposito di sentimenti che spuntano come veri deus ex machina: quand’è che la Vogel è diventata una figura materna per Dexter? Quando, cioè, ci hanno mostrato questo mutamento? Forse ero distratto io, suggeritemi se ricordate il processo.
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