Sgombriamo subito il campo: il punto forte dell’undicesimo episodio di Hannibal non è la plausibilità di quanto avviene su schermo, in una puntata che si apre con l’evasione più telefonata dell’universo. Per capire come un pericoloso serial killer riesca a liberarsi agilmente di una manetta e uccidere due uomini nell’angusto spazio del cellulare che lo sta trasportando, serve decisamente il dono fuori dal comune di Will Graham. Ora però possiamo includere anche le manette nella sempre più corposa lista di oggetti comuni che dopo la visione di Hannibal assumono un’aria sinistra e potenzialmente letale.
“The subject mustn’t be aware of any influence”
“Rôti” non è decisamente l’episodio ideale per chi rimprovera alla serie di tagliare con l’accetta le proprie allusioni sui rapporti tra i personaggi, ma almeno postula fin da subito il tema portante della settimana. Durante la solita cena sospetta tra Hannibal e il tracotante dottor Chilton, è Hannibal a indicare il filo conduttore dell’episodio, la manipolazione mentale. Il rozzo tentativo di Chilton di plasmare Gideon è di fatto la brutta copia, il bozzetto mal riuscito del gioco più raffinato e sottile che il dottor Lecter porta avanti ai danni del povero Will Graham. La posta in gioco però è particolarmente alta: con l’encefalite che si aggrava sul piatto ormai c’è anche la vita di Will, non solo il segreto del cannibale. Hannibal lo sa, sa che una cattiva calibrazione delle sue mosse lo porterebbe a scoprirsi eccessivamente o a perdere l’unico essere umano degno del proprio interesse. A primeggiare sull’affezione è però ancora una volta il tipo di curiosità che porta il gatto a tormentare il topolino, fino a quando questi non si muove più. Quindi Will viene plasmato e indirizzato sulla strada del serial killer di turno, mosso da un burattinaio che non ha nemmeno bisogno di essere indiretto (gli lascia pistola e chiavi sul tavolo), data la sua condizione.
L’episodio propone una quarantina di minuti ben riassunti dalla cinepresa che sfoca spesso un Will in primo piano in favore di Hannibal alle sue spalle. Se finora abbiamo seguito Will Graham nelle sue indagini vedendo spesso alle sue spalle l’ombra sfocata della volontà lecteriana o il suo alter ego da allucinazione, il cervo, qui invece mettiamo a fuoco l’operato di Hannibal, seguendolo passo a passo nel suo guidare Will a compiere il proprio progetto, sempre attento a non palesare il suo intervento.
“I fear not knowing who I am”
L’altro parallelo è quello tra Will Graham e Abel Gideon, le due menti cesellate e rifinite dai rispettivi aguzzini, i cui contorni identitari si diradano, lasciando solo il desiderio di ritrovare se stessi. Per Gideon questo processo passa per la rievocazione delle gesta del Chesapeake Ripper, con il duplice scopo di attirarlo allo scoperto e comprenderne più a fondo la natura. Nel mentre, trova anche il tempo per rifarsi della lunga lista di quelli che hanno tentato di minare la sua percezione di sè; i suoi psicoanalisi e la solita reporter Freddie Lounds, fino ad arrivare a Chilton. Come aveva predetto Hannibal, la sua azione è stata troppo diretta e coercitiva sul soggetto, che a suo modo si è ribellato. Ovviamente “a suo modo” a Baltimora prevede risvolti parecchio macabri, come la lenta asportazione di organi non vitali, fino al riarrangiamento delle sue interiora a mo’ di cesto regalo per il Ripper originale, il tutto mantenendo Chilton in vita. Pane per i denti di Guillermo Navarro, che dirige anche questo episodio.
Quello di Gideon (interpretato da un Eddie Izzard nel pieno del cattivo con tanta voglia di monologo) è un macabro corteggiamento verso Lecter, che non deve far altro che uccidere il solito innocente per sottolineare la rozzezza del suo emulo e attendere che il fedele segugio Will glielo porti direttamente all’ingresso di casa.
Tutt’altra storia invece per Will che tra manipolazioni indirette, encefaliti galoppanti e un nutrito gruppo di esperienze traumatiche da cui pescare, vive nel terrore di perdere la sua identità, di non poter ricordare il proprio nome al risveglio dall’ennesimo black out cognitivo. A tormentarlo è ancora il fantasma capostipite delle sue esperienze terrorizzanti, Garret Jacob Hobbs. Il suo punto di riferimento stabile è ormai casa Lecter, dove approda sempre più randagio portandosi dietro l’ennesimo killer scovato seguendo il cervo, ora esplicito segno dell’azione sotterranea di Hannibal. A fine episodio, attraverso la visione sfocata di un Will sull’orlo dell’attacco epilettico, vediamo il trucco di Lecter funzionare, la manipolazione completarsi. Hannibal dice a Will che sua sedia non c’è nessuno e il cervello dello stesso cancella la visione, allucinata o realistica che fosse.
Nell’ottimo scambio successivo con Gideon (agevolato dall’attacco epilettico di Will, che essendo “mild” non impedisce di farsi due chiacchiere tra assassini), Hannibal non ha nemmeno bisogno di palesarsi come il vero Chesapeake Ripper: l’uomo devastato e manipolato che assiste incosciente e inerme al loro dialogo ne è la prova, l’emblema, il trofeo.
“Please don’t lie to me!”
Insomma, un trionfo senza ombre per Hannibal? Non proprio, anzi. Will sembra alla sua completa mercé, circondato da persone come Alana e Jack che lo spingono inconsapevolmente ancora di più tra le spire di Hannibal. In realtà però Hannibal ha soggiogato solo la parte vigile e razionale di Will Graham. Non a caso, prima di cedere, nel vortice dello smarrimento, Will lo implora di non mentirgli, a riprova che un residuo di dubbio permane.
Quel dubbio in realtà è molto più articolato ed elaborato nel suo subconscio, il terreno fertile dove nascono i suoi incubi e le sue allucinazioni premonitrici. La serie ci ha più volte mostrato come spesso sul piano onirico il cervello di Will colga dettagli che il suo sè cosciente elabora solo in seguito.
Il suo subconscio è parte del suo dono, quella meno immediata, a cui non sfugge nulla. Così a voltarci indietro scopriamo che quando vagava di notte sonnambulo, quando assisteva Abigail e cercava altri serial killer il cervo dalle piume di volatile era sempre lì. Una parte di Will sa che è Hannibal a guidargli la mano e spesso ad armarla. Ora questa presenza si manifesta con più prepotenza, con l’intera sala investigativa popolata da palchi, mosse compiute all’ombra di Will che si ripercuotono su tutto il comparto investigativo.
Il problema è che il Will cosciente associa il cervo al caso Hobbs e a quel trauma, mentre probabilmente l’associazione del suo subconscio deriva dal primo caso condiviso con Hannibal o dalla scultura presente nello studio e toccata distrattamente durante le chiacchierate con lo psicoanalista. Il cervo non lo perde di vista un momento, c’è persino una coppia di sculture che occhieggia da dietro le sue spalle quando si confronta insieme ad Alana con Chilton.
Il profilo del killer è già tracciato, il suo operato cristallino; il problema è che ora è la parte cosciente di Will a essere sfocata, incapace di tracciare quel semplice nesso logico che dia un senso all’intero paesaggio notturno tessuto di intuizioni. La sfocatura è l’estrema difesa di Hannibal, che può continuare ad annacquare l’identità di Will per nascondersi nella sua ombra.
Rôti si chiude così, con un memorabile incontro tra Hannibal e la dottoressa Du Maurier, che torna a mettere in guardia il suo assistito dal voler intrecciare un rapporto oltre l’etica professionale con Will, che giace più morto che vivo all’ospedale. L’impressione è quella di aver assistito all’ultima vittoria senza prigionieri del dottor Lecter, ormai così coinvolto nel rapporto con Will da risultare per lui difficile guadagnare di nuovo una distanza di sicurezza senza rendersi sospetto.
Il punto è che, al netto di tutte le forzature, i parallelismi marcatissimi e il sempre meno lusinghiero ritratto della nevosa Baltimora, è proprio questo rapporto a dare un’inedita dimensione emozionale (ancorché crudele e diabolica) all’altrimenti imperscrutabile animo di Hannibal, rendendo ogni scambio tra lui e Will un appuntamento irrinunciabile del giovedì sera.
- Rôti è l’equivalente francese di arrosto.
- Su twitter Bryan Fuller ha spiegato che l’incubo ondoso di Will vuole essere un omaggio a “L’ultima Onda” di Peter Weir.
- La “cravatta colombiana” è un vero metodo di esecuzione, utilizzato durante la guerra civile colombiana nel 1948.
- Dopo due interi episodi di indicibili sofferenze psicofisiche, un paio di Hugh Dancy sorridenti sul set ci stanno tutti.
- Al mio terzo recap di velate allusioni, ammiccatine e riferimenti indiretti, vorrei spendere due parole sul rapporto speciale che lega i due protagonisti. Non le mie, quelle di Mads Mikkelsen: “Bryan said it early on that this is like a bromance, and it’s true — they like each other. Hopefully we will bring that, hand in hand with a terrific horror story.” (fonte)
- Quando la Du Maurier ha consigliato a Hannibal di allentare il suo rapporto con Will non ho potuto che provare un moto di stizza nei suoi confronti, che si frapponeva così decisamente di traverso al mio, di design. Per un momento è stato come trovarsi davanti al muro d’antipatia di Stella Gibson in persona…oh wait.
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