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Hannibal – 1×13 – Savoureux

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hannibal 1x13

«Hello, Will».
«Hello, Dr. Lecter».

Si conclude così la prima stagione di Hannibal, prequel televisivo della celebre saga di Thomas Harris che ruota attorno al personaggio di Hannibal Lecter, geniale serial killer che si nutre delle proprie vittime sorseggiando un bel bicchiere di Chianti e che collabora con la polizia da dietro le sbarre.
Ma la strada per raggiungere tale destinazione è ancora molto molto lunga…

Savoureux

Scritto da Steve Lightfoot, Bryan Fuller & Scott Nimerfro. Diretto da David Slade.

Will è a caccia. Di un cervo nero. È notte. Nel bosco. Il cervo fugge. Il cervo è un uomo. L’uomo-cervo miete l’ennesima vittima. L’uomo-cervo è pronto a colpire di nuovo. Will si sveglia. Will è sudato, febbricitante. Will si alza dal letto. Will ha i piedi sporchi di fango. Will va in cucina. Will ha sete. Will beve dal rubinetto. Will ingurgita delle pasticche di antibiotico e beve ancora. Will vomita tutto. L’acqua. Le pillole. Un orecchio umano.
Se pensiamo alla scena iniziale del pilot, in cui Will ricostruisce nella sua mente, con assoluta freddezza e distanza emotiva, le dinamiche di un efferato omicidio semplicemente piazzandosi al centro della scena del crimine è facile rendersi conto della profonda evoluzione della serie nel corso di questi primi 13 episodi. Questa stagione infatti non è che la cronaca della lenta e inesorabile discesa agli inferi di Will, punito per aver “giustiziato” Garrett Jacob Hobbs, per aver annullato la distanza che prima lo separava dai suoi “soggetti di studio”: l’omicidio. Partito come un procedurale che funzionava sul rapporto fra immaginazione e orrore e nella relazione fra Will e il dottor Lecter, Hannibal ha poi esaminato il contagio del male e l’influenza fra reale e immaginario attraverso l’identificazione. Perché quando guardi a lungo nell’abisso l’abisso ti guarda dentro. Nella pratica questa trasformazione si è coniugata a livello strutturale nell’esaurimento del “caso di puntata” inglobato nella storyline principale (vedi Georgia Madchen) e a livello drammatico nella graduale deriva psicologica di Will, incapace di distinguere le sue azioni dalle sue proiezioni mentali.

In questo finale Hannibal dà scacco matto al suo “amico” Will incastrandolo non solo per il presunto omicidio di Abigail Hobbs (dico presunto per non togliere le speranze ai molti fra voi che “finché non vedo non credo”), ma anche per tutti gli altri omicidi attribuiti al copycat killer. Così l’uomo capace di dipingere il collegio della sua infanzia fin nel minimo dettaglio trionfa su chi purtroppo non è più capace di disegnare nemmeno un orologio. La lucidità dell’architetto ha trionfato sull’empatia dell’interprete. Come? Lo avevamo visto intrufolarsi in casa di Will e osservare gli ami che il profiler monta con mano attenta per puro hobby. Bene, Hannibal ha modificato alcuni di essi inserendovi materiali ricavati dai resti delle sue vittime.
L’essere accusato di omicidi che sa di non aver commesso porta chiarezza nei pensieri di Will: qualcuno lo sta incastrando. Il profiler riesce a scappare (usando la stessa tecnica di un’altra delle sue reali “vittime”) e corre a chiedere aiuto ad Hannibal. Ma è lui a controllare il gioco: lo psicologo accompagna Will a casa degli Hobbs in Minnesota, per la terza seconda volta scena del crimine, stavolta relativa all’omicidio di Abigail. È proprio qui che Will ha la grande illuminazione: è Hannibal il responsabile della morte della figlia di Hobbs. Il provvidenziale (anche se non sarebbe il termine migliore) arrivo di Jack gli impedisce però di chiudere definitivamente in conti in sospeso con il terapista psicopatico che lo manipolato per curiosità, per il puro gusto di trasformare il cacciatore di killer in killer. Ma sono davvero queste le motivazioni di Hannibal? Le chiacchierate con la sua psicologa mostrano forse un quadro più complesso, come se Lecter volesse fare di Will non la sua cavia da laboratorio, ma il suo compagno nel senso più alto del termine (e come sa chi ha letto la saga letteraria di certo non è un comportamento fuori dal personaggio). La puntata si chiude con Hannibal che fa visita all’amico verso cui “non ha perso le speranze” nell’istituto psichiatrico criminale in cui è rinchiuso. Ribaltamento di ruoli assai potente rispetto alla saga letteraria e cinematografica.

Ma i personaggi di Alana e Jack non sono meno centrali nell’episodio. Nonostante dalla parte dei “buoni”, entrambi hanno la propria responsabilità nella sconfitta di Will. Se Alana ha la colpa di aver invitato Hannibal a “partecipare al gioco”, Jack ha perseverato nel porre costantemente Will sull’orlo del dirupo mentale. A fin di bene, ripete lui, ma non quello di Abigail Hobbs, come gli dice una furiosa Alana. Il confronto fra questi due personaggi, di contorno fino a un certo punto, non è meno potente di quello fra i due protagonisti, in quanto concerne metodo e limiti: fino a dove bisogna spingersi quando ci si trova faccia a faccia col male?

Hannibal restituisce dignità al thriller psicologico proprio per la sua fedeltà e aderenza “letterale” all’espressione stessa. Tutto Savoureux (“gustoso” in francese) e la stagione stessa vanno a costituire una sorta di lugrubre terapia di Will, che come ogni terapia riuscita conduce infatti alla Verità.
Bryan Fuller è una voce importantissima nel panorama seriale attuale ed è riuscito dove hanno fallito le trasposizioni cinematografiche post Il silenzio degli innocenti: restituire visionarietà e sofisticatezza alla saga di Thomas Harris. Di certo Fuller ha beneficiato dell’ausilio immaginifico ed estetizzante di David Slade, che non si è limitato a curare la regia del pilot, ma è rimasto una figura di riferimento nella produzione della stagione dirigendo vari episodi, compreso questo finale. Il vero colpo gobbo però è stato accalappiare due lead portentosi come Hugh Dancy e soprattutto Mads Mikkelsen. Non meno capaci però Caroline Dhavernas e Laurence Fishburne, capaci di dare sostanza a personaggi che altrimenti sfigurerebbero nel confronto coi protagonisti.

Le possibilità che Savoureux apre alla prossima stagione (già confermata, tranquilli) sono tantissime, così come è tanta la nostra curiosità nel vedere un prodotto totalmente stravolto che si avvicina a lenti passi verso l’obiettivo Red Dragon. Sperando che la NBC, o qualche altro network al suo posto, possano continuare a collaborare.

Fuck Yeah

Note:

  • in pratica questa prima stagione si basa su una paginetta della backstory di Will Graham in Red Dragon, in cui si racconta come l’eccessivo coinvolgimento di Will nelle indagini del “Minnesota Shrike” lo ha portato all’internamento psichiatrico. Non male, direi;
  • gli eventi che dovrebbero avere luogo nel corso della prossima stagione invece non hanno alcun corrispettivo letterario diretto;
  • questo season finale ha raccolto un rating di 0.8 e meno di 2 milioni di spettatori. Evidentemente la co-produzione internazionale è tanto vantaggiosa da aver assicurato il rinnovo nonostante ascolti infinitesimali. Grazie, co-produzione internazionale!
  • per la seconda stagione Bryan Fuller vorrebbe coinvolgere altre facce note ai suoi fan, ovvero Lee Pace, Chi McBride e Kristin Chenoweth. Ma non solo: Fuller ha chiesto anche la partecipazione di David Bowie nel ruolo dello zio europeo di Hannibal. Che dite, accetterà? Resta invece l’incognita Gillian Anderson, che dopo il rinnovo del britannico The Fall e la partecipazione alla nuova serie Crisis potrebbe avere il calendario fin troppo pieno…
  • ecco l’intervista in due parti a Bryan Fuller firmata da Alan Sepinwall riguardo la scrittura della prima stagione, i legami con la saga letteraria e il futuro della serie.

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