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Hannibal – 2×11 – Ko No Mono

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hannibal 2x11

Abbiamo già gioito per il rinnovo di Hannibal da parte di una NBC in silenziosa rimonta, strappato nonostante riscuota ascolti direttamente proporzionali al suo costo di realizzazione: bassissimi. Appurato che la cena non è finita e c’è ancora speranza per una stagione a tematica culinaria italiana (e le conseguenti improbabili metafore che verranno ricamate tra i piatti della Penisola e i complessi trabocchetti di Hannibal), questo trittico conclusivo finirà per essere valutato in un’ottica differente rispetto al resto della stagione. Ancor prima di premere play sappiamo che Hannibal non finirà qui, prospettiva differente rispetto a chi lo ha scritto e rispetto al pubblico che ha premuto quel tasto una settimana fa. Anche l’ordine di priorità dello spettatore finisce per variare: se in attesa del rinnovo era prioritario che la serie tentasse una conclusione soddisfacente e ordinata, ora il primo comandamento è quello di non commettere passi falsi e compromettere in chiusura una stagione magnifica.

YOUR DESIGN IS EVOLVING

“Ko no mono” in effetti dimostra un ritmo spedito, forse influenzato dal bisogno di risolvere tutto entro i termini previsti. Questo passo sostenuto finisce per mettere una pezza ad alcune pecche degli ultimi episodi, il tutto con lo stile che contraddistingue la serie. La morte di Freddie Lounds aveva sortito l’effetto di un divisore tra il pubblico dei lettori, disorientati dalla persistenza con cui si era inscenato un delitto che sapevano non avrebbe avuto luogo e di non lettori, ancora poco smaliziati nel giudicare chi sia morto e sepolto e chi no. Fuller e soci mantengono fino a fine episodio questo dubbio, piazzando molte strizzate d’occhio al pubblico navigato prima di mostrare la giornalista sotto la custodia di Jack, curiosa di sapere come sia andato il suo funerale.
Attraverso le insistenze di Alana si ha la conferma esplicita che la sessione di pesca di Jack e Will è ancora in corso e dispone di tutta una serie di metodi poco ortodossi e confini labili, pur di catturare il Serial Killer, maiuscolo, della serie.

No, Will non è stato traviato e sì, Jack è assolutamente conscio di chi sia veramente Hannibal. Se da un lato è sempre bello assistere a uno show che non indugia troppo e varia continuamente il suo disegno, dall’altra le ultime evoluzioni rischiano di rendere il futuro più complicato per la serie. Le morti in Hannibal si avvicinano ormai pericolosamente ai decessi Marvel o ai cadaveri in Sherlock. Non basta veder un corpo collassare, una pallottola colpire il bersaglio, un cadavere con tanto di impronta dentale e un pranzetto ambiguo collegato, no. Neppure dopo il funerale – sorprendentemente affollato considerando il lavoro da avvoltoio svolto da Freddie – e la rapidissima profanazione della tomba – più in linea con la sua popolarità- lo spettatore può essere veramente sicuro della non reversibilità della sua morte, senza contare il precedente ritorno dal regno dei morti di Miriam Lass. L’espediente è stato tanto utilizzato quest’anno che Will è costretto a chiedere esplicitamente ad Hannibal se abbia ucciso Abigail Hobbs o no, perché ormai una sparizione e un orecchio non provano proprio nulla. Nemmeno un “sì” di Hannibal, a ben vedere.
Insomma, finti omicidi con veri cadaveri comportano articolate spiegazioni. Per ora basta la presenza di Jack a rendere plausibile la vicenda ma alla lunga questo sentiero tende a risultare assai accidentato.

L’altro punto debole di questa seconda stagione per me rimane Alana Bloom, una sorta di specchio del pubblico neofita. Con la scusa di farla apparire disorientata dal corso degli omicidi e dall’ambiguità crescente dei due amici (presi singolarmente e come coppia sempre più affiatata), il suo personaggio appare a tratti incoerente, a tratti astioso, talvolta semplicemente odioso, specialmente nei riguardi di Will. Non aiuta la sua improvvisa relazione amorosa con Hannibal, costellata dalle imbarazzanti scene sensuali al limite del kitsch, perennemente adombrata dalla presenza fisica o spirituale del suo rivale amoroso, corteggiato apertamente dal partner in attesa di vedere cosa uscirà dal bozzolo.

I DON’T HIDE FROM GOD

Dal bozzolo (o meglio, dal cervo) esce un Will che a rigor di metafora dovrebbe essere la versione oscura e sanguinaria di se stesso, ricostruzione smentita dal finale di puntata. Nonostante i limiti sempre più sfumati di natura etica, Will Graham è a caccia e mantiene ancora una certa padronanza di sé, tanto da trasformare Mason Verger da pedina inconsapevole nelle mani del nemico a pezzo consapevole del suo ruolo sulla scacchiera e, perché no, magari potenzialmente pericoloso per Hannibal.
L’inserimento dei fratelli Verger funziona alla grande, sostituendo casi della settimana che a questo punto risulterebbero posticci e donando due grandi comprimari che rendono ancora più complessa l’interazione tra Hannibal e Will, senza contare quel quid di orrore e follia che apporta la loro storyline.

In un episodio dominato dalla voglia di paternità, il tentativo di Margot di aggirare le condizioni odiose imposte dal padre e di garantirsi la sopravvivenza in questa generazione Verger attraverso un nuovo piccolo Verger/Graham scatena il vero motore dell’episodio. La sua gravidanza consente a un Michael Pitt collettore di lacrime di dare allo spettatore un brivido raggelante (quel tocco finale, i camici color rosso sangue!) tanto quanto quelli donati dalle trame sordide di Hannibal, sempre nei paraggi quando c’è da manipolare pazienti con tendenze omicide. Il bello è che nonostante sia stato lui a sussurrare alla crisalide imbevuta di complessi paterni di Mason, prendendolo come paziente ed impiantandogli il tarlo del dubbio che ha fatto naufragare il piano di Margot, nemmeno Hannibal sembra troppo a suo agio con il nuovo paziente, un vero rude che si spaparanza sul suo divanetto (orrore!) e lascia in giro la propria giacca in quello che è il territorio dello psichiatra killer e causandone il disappunto.

Il tutto poi si ripercuote anche sul rapporto sempre più viscerale tra i protagonisti. Hannibal, che si reputa una sorta di figura paterna per un Will teoricamente alla ricerca di sé, finisce per causare la morte del secondo essere vivente che ha risvegliato lo stesso istinto nel compagno. Hannibal e Will si considerano entrambi responsabili in senso paterno verso Abigal e la sua morte (necessaria ma dolorosa per il primo, inaccettabile per il secondo) risulta l’ostacolo invalicabile per la (supposta) sovrapposizione delle loro visioni. Nel delicato interscambio sulla valenza della figura paterna per la conoscenza di sé emerge anche un rapido barlume umano nel mostro, la sua devozione per la sorella morta, verso cui sentiva una responsabilità paterna e attraverso cui ha imparato a conoscere la sua natura. Ah, le infinite implicazioni di quest’affermazione e della morte di Mischa, con l’immagine della tazza in frantumi che non può che far correre la mente  di nuovo ad Abigail, unendo le due nel capitolo dei rimpianti del Chesapeake Ripper.
Nonostante il momento umanamente intenso, l’apertura e la chiusura di puntata dimostrano che il “lato sentimentale” di Hannibal non mette mai a sopire quello calcolatore del ragno che tesse la sua tela. E se tra le lenzuola la serie fa quasi sempre cilecca, a tavola non sbaglia un colpo. Il piatto della settimana è un tripudio di stimoli: ricercato nel gusto, sublime nel risultato e crudele nella preparazione, è la metafora perfetta del suo chef. Tutto quel scricchiolare di ossicini (il macabro canto post mortem dell’uccellino) e quell’immaginario visivo allusivo rendono ancora una volta la cena il momento più sensuale dell’intero episodio.

Fuck Yeah

 

Vi giuro che se mi fosse capitato l’episodio della scorsa settimana, niente FUCK YEAH, però che volete, la carne è debole.
Sarà per il rinnovo assicurato, sarà per il corteggiamento spietato, sarà per tutti quei father issue grossi così in piena zona festa della mamma, Ko no mono sembra lanciare un messaggio forte e chiaro: Hannibal c’è, tiene salde le redini della stagione e sembra saper cosa fare del suo finale, promettendo scintille.

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un uomo accetta mestamente il suo destino

In attesa di risolvere la questione “Jack a casa di Hannibal” (perché in questa serie più si fa granitica la certezza che x sia il malvagissimo serial killer più y si sentirà irresistibilmente attratto dall’andarlo a trovare a casa sua, da solo, senza avvisare nessuno, cfr Alana in questo episodio), voglio porgere le mie scuse a un eroe che in passato ho bistrattato per non essere stato, come dire, acutissimo nell’intuire la natura oscura di Hannibal, servendogli su un piatto d’argento ben due sue collaboratrici. Quest’uomo, Jack, merita il nostro affetto e sostegno. Un uomo che per prendere un serial killer fa bruciare cadaveri, sì, ma soprattutto subisce senza batter ciglio una sequela devastante di doppi sensi, battutine, pun e sguardi intensi su ogni singola, fottuta scena del crimine. Quel paio di minuti di autopsia di Freddy sono stati tra i più bad pun intended della storia e lui ha sopportato stoicamente, nella speranza di non insospettire Hannibal. Jack, sii forte.

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